Silvia Floris - Cagliari

Con i tempi che corrono, è possibile parlare di turismo responsabile in Sierra Leone?
Ossia fare un viaggio emozionale e non inquinare i paesi in via di sviluppo che visitiamo, paesi in cui la comunità locale (per una volta) prende una fettina della torta.
Non si sfrutta, non si è sfruttati.
L‘Africa è un Continente nevralgico a proposito, perché qui si gioca un partita importante: molte risorse, svariati attrattori naturali e dall’altra parte una curiosità occidentale tutta da soddisfare.

Arriviamo la mattina presto all’aeroporto di Lungi, sono le 05.00.
Se è la prima volta che atterrate in Africa vi sembrerà che gli spazi si siano improvvisamente ristretti, vedrete una fiumana di persone che si preoccupano delle vostre valige, dei vostri documenti, del vostro taxi, del vostro carrello ecc… Proseguite verso il nastro bagagli, senza ulteriori indugi.
I Cinesi stanno investendo parecchio in Sierra Leone, così come in molte altre parti d’Africa e hanno raggiunto un accordo col governo: asfaltano strade in modalità gratuita a fronte di altri benefits, tipo sfruttamento del sottosuolo, cose poco accessibili alle orecchie dei più, ma che sul lato pratico portano vantaggi immediati ai locals.
La strada che collega l’aeroporto alle principali arterie della zona è adesso asfaltata, per esempio.
Ignazio, il fondatore della lovebridges viene a prenderci per andare a Lokomasama, il nostro campo base è alla casa del volontario.
Mi rendo conto che è il 30 dicembre, l’indomani si festeggia la fine dell’anno e per l’occasione andiamo a Yongoro,un villaggio di pescatori dove Lovebridges ha costruito un ambulatorio medico dotato di sala visite e servizi igienici, mica male viste le condizioni del posto.
La vista è pazzesca, abbiamo l’Oceano davanti e le imbarcazioni tradizionali hanno appena sfornato la pescata del mattino.


Prendiamo un secchio (e intendo un secchio) di granchi, mezzo kilo di gamberi e sua maestà un’aragostella, questo il nostro menù di capodanno, acquistato dalle donne che acquistano dai pescatori, è un rituale chiaro a cui non si sfugge. Loro comprano il pesce lo infarinano nella sabbia e poi lo vendono.
Non tutti i bianchi arrivano nella spiaggetta di Yongoro, il privilegio di viaggiare con una Onlus che conosce bene il territorio è anche questo.
Siamo ancora a Lokomasama e prepariamo per il capodanno, fuori dal nostro compound la foresta ribolle rigogliosa e la comunità locale vive li, in mezzo alle palme, tra casette e capanne. Li invitiamo a passare il capodanno con noi.
Le donne arrivano all’imbrunire, accompagnate dai bambini, il cancello di Emergency si apre, suonano dei tamburi che portano a tracolla e intonano canzoni della Bundu Society, la società segreta che regola i percorsi spirituali e la crescita fisica delle donne in quella parte di Sierra Leone.
Mentre avanzano l’energia della musica diventa sempre più forte, davanti le anziane che intonano i pezzi e suonano e dietro le altre che cantano: danza, musica, colori, corpi che si muovono, ritmo, palme, polvere.
Non è la prima volta che vedo rituali estemporanei in Africa ma devo dire che l’impatto emozionale è davvero forte, ci hanno fatto un omaggio per l’anno vecchio che parte e il nuovo che arriva.
Una vera bomba.
Nei giorni seguenti organizziamo il giro di scouting che faremo: dobbiamo vedere posti nuovi, provare strutture ricettive e sondare le strade.
Sta per nascere Be Active! Discovering Sierra Leone, un progetto fresco fresco di giornata che nasce in seno a Lovebridges e a cui lavoro anche io.
L’idea è: come coniugare le attività di volontariato con un viaggio rilassante nel rispetto della cultura del posto? Alcuni lo chiamano turismo responsabile, di quelli in cui ti fanno cucinare i tiger prawn nelle isole dell’Atlantico in un corso appositamente organizzato dai local.
Secondo i dati del UNWTO nel 2014 la Sierra Leone ha avuto un calo del 46,2% sugli arrivi internazionali, che sono stati in tutto 44.000.
Il Marocco quello stesso anno ne ha gestito 10 milioni, così per capirsi.
La domanda si ripropone uguale a sé stessa: che tipo di follia è offrire una vacanza africana in Sierra Leone, paese poco battuto e quindi poco servito?
No worries, zaino in spalla e procediamo. L’idea è abbinare le attività di volontariato già avviate da Lovebridges a momenti di svago in posti esagerati dal punto di vista ambientale e gioiosi su quello spirituale. Confezionare un pacchetto e accompagnare i turisti di tutto il mondo a godere di una bella vacanza africana.
Passa il Capodanno e decidiamo di sperimentare un itinerario che possa bene adattarsi ai nostri scopi.
Battezziamo il progetto, si chiamerà Be Active! Discovering Sierra Leone, mangiamo una fettina di papaya per decretare il tutto e partiamo per iniziare la nostra attività di scouting, alla scoperta di siti, accommodation e ristoranti da inserire nel pacchetto.
Prima tappa Bureh Beach.
Trattasi di località marittima a sud della capitale Freetown, da Lokomasama o anche Lungi (pressi aeroporto) si prende la Port Loko road e a seguire le Masiaka-Lunsar Highway e Masiaka-Yonibana Highway fino al mare. Interessante anche la vicinanza con un’altra località decisamente attraente John Obey.

 


Cosa fare a Bureh Beach? Surf care amiche e cari amici, onde desolate, lunghe, malinconiche come questo squarcio di Atlantico. Senza contare che i miracoli spuntano anche nei posti più poveri, cosi, da un soffio di vento nasce la Bureh Beach Surf Club – Sierra Leone.
Se siete meno sportivi potete comunque godervi la spiaggia, io per esempio faccio un bagno salato il primo gennaio, e niente, arrivare dall’Europa carica di polvere e scrollarsi di dosso un anno di pensieri nell’Oceano ha un suo grande perché.
Prendiamo accordi con Michael, sindaco di Bureh, pescatore di aragoste e surfista, sarà il nostro mentore anche nei giorni successivi. Ci accompagna a vedere Maroon Island con un’imbarcazione tradizionale, arriviamo in 15 minuti.
Le rocce color petrolio a fine serata sono calde, l’aria è fresca, il panorama strizza l’occhio a chi vuole rilassarsi. Immaginare di stappare un bianco gelato guardando il calare del sole diventa un’idea sincera.
Maroon Island passa la selezione ed entra nella scuderia dei posticini da inserire nel Tour della Costa.
Torniamo a Bureh per trascorrere la serata, in spiaggia trovate diversi ristorantini che servono piatti di riso con pollo o crostacei, uno di questi è gestito da un australiano trapiantato li da tempo. Si autodefinisce Australeon e a questo tema ha dedicato la sua pagina Facebook, un vero personaggio
Il nostro resort si trova a circa 300 metri dalla spiaggia, essenziale ma pulito, l’unica nota dolente il rumore assordante del gruppo elettrogeno, ma tant’è.. siamo in Africa e poco più avanti c’è sempre il fragore del mare.
Seconda tappa Banana Island.
Il giorno dopo partiamo di buona lena alla volta di Banana, raccontano cose pazzesche a riguardo, di aragoste giganti che scorrazzano per mare, di una comunità ospitale, di pace e relax, sembra quasi che quest’isoletta a 50 min. di barca dalla costa voglia entrare nel nostro itinerario.
Voi che dite?


Siamo accolti dal sindaco o capo tribale – chief – con un secchio di bananitos e noci di cocco, visitiamo l’isola con una guida locale, vediamo la chiesa datata 1881 e retaggio del dominio coloniale inglese, i cannoni siti in un luogo d’avvistamento e la piccola scuola chiusa per la pausa invernale. Ci rilassiamo ancora, facciamo il bagno e assaggiamo il seafood locale accompagnato da un riso al cocco speziato.
I ragazzi della comunità hanno cucinato per noi, ad un prezzo davvero modico, sanno che vorremmo inserire la loro isola all’interno di un percorso turistico e in effetti parliamo di questo con il capo. Contiamo in tutto 2 accommodation, vorremo far trascorre agli ospiti almeno 3 giorni qui, tra escursioni, relax, snorkelling, massaggi in riva… Alla fine capiamo quale accommodation scegliere. Ma questa è una sorpresa dalle mille e una notte che non posso svelare adesso.
Terza tappa Freetown.
Cosa vorreste fare adesso? Un po’ di città, vita attiva e frenetica ai ritmi africani? Mercati? Musei? Ok, proseguiamo questo tour con la capitale Freetown. Prendiamo la Masiaka – Yonibana Highway per circa 54 KM, che diventano però 1 ora e mezza di viaggio. Andiamo subito ad Aberdeen, il quartiere marittimo, ideale per alloggi intimi in spiaggia, ricco di ristoranti di livello e lontano dallo smog della metropoli.
L’Oceano può aspettare, intanto facciamo un tour per visitare alcuni must:
– Il cotton tree, che cresce in queste parti d’Africa ed è diventato simbolo della città.
– La St George’s cathedral chiesa anglicana iniziata nel 1817 e completata nel 1828; anche questo grosso retaggio del colonialismo inglese.
– Il Sierra Leone National Museum aperto dal 1987 e sito in Siaka Steven Street, il museo ospita una piccola ma interessante collezione di manufatti etnografici tra cui gli abiti, il tamburo e la spada di Bai Bureh, leader dei guerrieri temne. Il museo si trova nella vecchia stazione di una ferrovia cotoniera, non lontano dal cotton tree.
– Il coloratissimo Big Market o Basket Market, che offre un ampio assortimento di prodotti per la casa e artigianato locale, sito a Wallace Johnson St.
Potete fare questo percorso anche a piedi.
Arriva il momento dei saluti, io e il Tour della Costa ci siamo divertiti molto a provare tutto questo per voi e a breve ci saranno news.
Avete letto la prima proposta di vacanza africana firmata Be Active!, però stay tuned and spread the voice. A presto!

da: Flowerstories - Storie di viaggi e racconti golosi

 

         

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